Il film di Mario Martone, Noi credevamo, coprodotto dalla Rai in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, dimentica i patrioti calabresi e offre allo spettatore un’interpretazione distorta della realtà storica.
È quanto denuncia il presidente della Provincia di Vibo Valentia, Francesco De Nisi, che ha investito della questione direttamente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, inviandogli una lettera nella quale evidenzia le lacune e le contraddizioni del lungometraggio, chiedendo un suo intervento sulla questione. In particolare, De Nisi sottolinea il ruolo di primo piano che Domenico Lopresti e Benedetto Musolino ebbero nel processo di unificazione, marginalizzato invece nel film (nella foto Toni Servillo nei panni di Mazzini).
Ecco il testo integrale della lettera scritta da De Nisi e inviata al Capo dello Stato:
«Nella mia qualità di presidente della Provincia di Vibo Valentia, mi rivolgo a Lei per esprimere il profondo disappunto della comunità da me rappresentata, che è stata di recente resa vittima di una sorta di “esproprio” dei propri valori storico-culturali, concernenti l’attività dei patrioti risorgimentali che in questo contesto si formarono e da qui intrapresero la loro lotta per la Causa unitaria.
Intendo, in particolar modo, riferirmi a un recente film, Noi credevamo, ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti, al quale il Comitato Italia 150 ha concesso il proprio patrocinio ed il proprio sostegno economico, in aggiunta ai non irrilevanti contributi erogati da altri enti pubblici e dalla stessa Rai. La pellicola, che viene quotidianamente pubblicizzata nei vari programmi della rete nazionale e si pone, anche per l’autorevolezza dei patrocini ottenuti, come la rappresentazione cinematografica delle vicende storiche che condussero all’unificazione, oblitera, senza una valida ragione, l’azione dei patrioti, figli di questa terra, che a ogni cosa preposero il bene supremo della agognata Unità nazionale, patendo per tale ragione sofferenze e rappresaglie da parte dei Borbone.
È un dato inequivocabile che la vicenda rievocata nel film, quella realmente accaduta, narrata fedelmente dalla Banti, abbia avuto come attori i patrioti calabresi: tale è il protagonista Domenico Lopresti, originario di Pizzo Calabro e tale è Benedetto Musolino, fondatore della setta dei Figlioli della Giovane Italia, alla quale Lopresti era iscritto - distinta da quella del Mazzini - e che fu, come dice nelle Ricordanze lo stesso Luigi Settembrini, che vi prese parte, “l’unica Giovane Italia sparsa nel Regno”.
Invece, nella rappresentazione che ne dà il lungometraggio, tutto ciò non appare: la liberazione del Mezzogiorno diviene opera del Mazzini, che dall’estero riesce a dirigere le gesta dei patrioti meridionali, senza lasciar trasparire che i predetti erano autonomi, spesso a lui contrapposti, e che proprio qui, nel vibonese, c’era l’epicentro della cospirazione nel Regno di Napoli: proprio a Pizzo fu concepita la setta fondata dal Musolino.
Gli eroi meridionali vengono rappresentati come meri emissari del Mazzini, una sorta di “sottoposti” che vanno su e giù per l’Italia e per l’Europa agli ordini del patriota genovese. Quel che di più indigna è che neppure tra questi “gregari” si sia trovato nel film un posto per i rivoluzionari calabresi.
Perché omettere la circostanza che il protagonista del romanzo della Banti (il Lopresti, nonno della scrittrice) era calabrese, e farlo invece diventare, nella rivisitata versione cinematografica, un campano? Perché sottrarre alla Calabria la sua storia?
Mi rivolgo a Lei, Signor Presidente, perché, in quanto garante dell’Unità nazionale, con la Sua autorevolezza, voglia intervenire affinché venga ripristinata la verità, assegnando il giusto posto ai valorosi patrioti calabresi: la Calabria, terra natia anche di Giovanni Nicotera, Domenico Mauro, Francesco Stocco, Domenico Romeo, ha pagato un tributo pesante in vite umane per reagire alle persecuzioni borboniche e contribuire a realizzare, così, il sogno di una Patria unita e indipendente.
L’indignazione della mia comunità avverso questa non conforme rappresentazione di fatti e circostanze è ancora più forte, se si considera che questo messaggio raggiungerà, a breve, milioni di telespettatori, che non saranno resi edotti, forse neppure a mezzo di didascalie, del contributo effettivamente dato alla Causa nazionale da questa Terra, già vituperata per una sorta di patetico “luogo comune”.
Auspico, pertanto, che attraverso il Suo autorevole intervento venga posto rimedio a questa erronea rappresentazione della storia di questa Regione, che non si rassegna a ricoprire un ruolo marginale nella vita del Paese, alla cui unificazione, libertà e indipendenza ha contribuito con profonde sofferenze ed immani sacrifici».
È quanto denuncia il presidente della Provincia di Vibo Valentia, Francesco De Nisi, che ha investito della questione direttamente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, inviandogli una lettera nella quale evidenzia le lacune e le contraddizioni del lungometraggio, chiedendo un suo intervento sulla questione. In particolare, De Nisi sottolinea il ruolo di primo piano che Domenico Lopresti e Benedetto Musolino ebbero nel processo di unificazione, marginalizzato invece nel film (nella foto Toni Servillo nei panni di Mazzini).
Ecco il testo integrale della lettera scritta da De Nisi e inviata al Capo dello Stato:
«Nella mia qualità di presidente della Provincia di Vibo Valentia, mi rivolgo a Lei per esprimere il profondo disappunto della comunità da me rappresentata, che è stata di recente resa vittima di una sorta di “esproprio” dei propri valori storico-culturali, concernenti l’attività dei patrioti risorgimentali che in questo contesto si formarono e da qui intrapresero la loro lotta per la Causa unitaria.
Intendo, in particolar modo, riferirmi a un recente film, Noi credevamo, ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti, al quale il Comitato Italia 150 ha concesso il proprio patrocinio ed il proprio sostegno economico, in aggiunta ai non irrilevanti contributi erogati da altri enti pubblici e dalla stessa Rai. La pellicola, che viene quotidianamente pubblicizzata nei vari programmi della rete nazionale e si pone, anche per l’autorevolezza dei patrocini ottenuti, come la rappresentazione cinematografica delle vicende storiche che condussero all’unificazione, oblitera, senza una valida ragione, l’azione dei patrioti, figli di questa terra, che a ogni cosa preposero il bene supremo della agognata Unità nazionale, patendo per tale ragione sofferenze e rappresaglie da parte dei Borbone.
È un dato inequivocabile che la vicenda rievocata nel film, quella realmente accaduta, narrata fedelmente dalla Banti, abbia avuto come attori i patrioti calabresi: tale è il protagonista Domenico Lopresti, originario di Pizzo Calabro e tale è Benedetto Musolino, fondatore della setta dei Figlioli della Giovane Italia, alla quale Lopresti era iscritto - distinta da quella del Mazzini - e che fu, come dice nelle Ricordanze lo stesso Luigi Settembrini, che vi prese parte, “l’unica Giovane Italia sparsa nel Regno”.
Invece, nella rappresentazione che ne dà il lungometraggio, tutto ciò non appare: la liberazione del Mezzogiorno diviene opera del Mazzini, che dall’estero riesce a dirigere le gesta dei patrioti meridionali, senza lasciar trasparire che i predetti erano autonomi, spesso a lui contrapposti, e che proprio qui, nel vibonese, c’era l’epicentro della cospirazione nel Regno di Napoli: proprio a Pizzo fu concepita la setta fondata dal Musolino.
Gli eroi meridionali vengono rappresentati come meri emissari del Mazzini, una sorta di “sottoposti” che vanno su e giù per l’Italia e per l’Europa agli ordini del patriota genovese. Quel che di più indigna è che neppure tra questi “gregari” si sia trovato nel film un posto per i rivoluzionari calabresi.
Perché omettere la circostanza che il protagonista del romanzo della Banti (il Lopresti, nonno della scrittrice) era calabrese, e farlo invece diventare, nella rivisitata versione cinematografica, un campano? Perché sottrarre alla Calabria la sua storia?
Mi rivolgo a Lei, Signor Presidente, perché, in quanto garante dell’Unità nazionale, con la Sua autorevolezza, voglia intervenire affinché venga ripristinata la verità, assegnando il giusto posto ai valorosi patrioti calabresi: la Calabria, terra natia anche di Giovanni Nicotera, Domenico Mauro, Francesco Stocco, Domenico Romeo, ha pagato un tributo pesante in vite umane per reagire alle persecuzioni borboniche e contribuire a realizzare, così, il sogno di una Patria unita e indipendente.
L’indignazione della mia comunità avverso questa non conforme rappresentazione di fatti e circostanze è ancora più forte, se si considera che questo messaggio raggiungerà, a breve, milioni di telespettatori, che non saranno resi edotti, forse neppure a mezzo di didascalie, del contributo effettivamente dato alla Causa nazionale da questa Terra, già vituperata per una sorta di patetico “luogo comune”.
Auspico, pertanto, che attraverso il Suo autorevole intervento venga posto rimedio a questa erronea rappresentazione della storia di questa Regione, che non si rassegna a ricoprire un ruolo marginale nella vita del Paese, alla cui unificazione, libertà e indipendenza ha contribuito con profonde sofferenze ed immani sacrifici».
edg
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